Memoria e nostalgia

di Alessandro Riva

Quella di Carlo Cola è una pittura sorprendentemente anti-contemporanea, che ha proprio in una voluta, cosciente, quanto drastica presa di distanza dagli stimoli provenienti dai linguaggi e dalle formulazioni caratterizzanti la storia dell’arte più recente, in particolare quella di questi ultimi decenni – dalla realtà mediale alla fotografia alla fiction cinematografica o televisiva – il suo fulcro poetico e visivo. Cola, infatti, utilizza una pittura che sembra a prima vista non voler guardare ad alcuno dei movimenti e delle pratiche artistiche storicizzate dall’avanguardia artistica nella seconda metà del Novecento, sia in termini di linguaggio sia in termini di suggestioni o di contenuti. Il suo lavoro si muove, con sorprendente levità del segno e del colore, su una linea del tutto autonoma, solitaria, priva anche di compagni di strada e di convergenze con il lavoro dei suoi coetanei o di quello delle ultime generazioni di artisti italiani. La linea è quella della ripresa di una pittura veloce e gestuale che, se da una parte recupera un certo intimismo nabis che oggi pare completamente sparito dalla scena contemporanea, quasi fosse poco corretto politicamente riproporre scenari di intimità borghese e di solitaria e domestica quotidianità, dall’altra recupera anche l’utilizzo di un segno forte, fluido, di lontana ascendenza matissiana, felice nella sua straordinaria leggerezza e libertà, e di una materia corposa e spessa, oltre di un uso di colori forti, contrastati, di vaga marca espressionista.

 

L’opera di Cola è, a guardar bene, un intricato puzzle mentale e visivo, un gioco di rimandi e di citazioni, anzi, più precisamente, un gioco a rimpiattino con la memoria della pittura, con i suoi protagonisti e i suoi punti di riferimento fondamentali, ma sempre tenuto sul filo sottile dell’intimità e della suggestione poetica, quasi che la citazione dei grandi maestri – da Picasso a Matisse – dovesse passare per una via segreta e silenziosa, attraverso dettagli domestici o fugaci accenni coloristici e compositivi. Quello di Cola è un mondo tutto mentale, fortemente anti-naturalistico, che ci parla di noi stessi, delle nostre letture, delle nostre passioni e dei nostri amori, in breve della nostra intimità, attraverso la riproposizione di un mondo scomparso che non sconfina mai nella nostalgia e nella malinconia, che non utilizza il linguaggio del sentimentalismo ma quello di un lirismo asciutto e diretto, di una naturale e semplice levità delle cose che ci appartengono e che appartengono alla nostra cultura, al nostro passato ma anche al nostro presente.

 

Alessandro Riva

Pubblicato per l’esposizione “IN VIAGGIO” di Carlo Cola. Catalogo ART’ Ė 2002, MILANO